Federico II di Svevia

viale Federico II di Svevia (già strada Castello e via della Rimembranza)

Alla fine del 1800 questa strada era intitolata al Castello, anche se veniva detta dal popolo la strada del Perfuso, per la breccia operata nel muro di cinta che univa la vicina “Torritta” (o Barbacane) con il terrapieno del Castello. Ora questo antico muro di cinta è stato tagliato in gran parte per dare un comodo accesso al Largo Castello e la strada è stata dedicata a Federico II. Questo illustre personaggio seguì l’idea espansionistica del nonno, l’imperatore Federico Barbarossa, e dominò, nel secolo XIII, la scena politica non solo nel Regno di Sicilia, anche in Europa. Nacque da Costanza d’Altavilla, ultima erede dei Normanni, e da Enrico VI, la cui unione non fu senz’altro un matrimonio d’amore, poiché i due non si erano mai visti e che fra loro vi era anche la bella differenza di età, lei trentunenne e lui ventenne, ma fu voluto e organizzato dal Barbarossa, che mirava essenzialmente ad impadronirsi del Regno di Sicilia. Quattro anni dopo, con la morte dell’imperatore la regina dovette seguire il marito in Germania che la costrinse a portare con sé anche il tesoro del Regno di Sicilia. Enrico utilizzò questa ricchezza con l’astuzia e l’inganno per tenere a freno i grandi elettori, contrari alla fusione del Regno Svevo con quello di Sicilia, e con la prepotenza, il ricatto e la corruzione, riuscì a farsi eleggere imperatore al posto del fratello Filippo. Costanza, d’allora, non condivise più la politica del marito, anzi ne fu contrariata, perché vedeva depauperare il tesoro del suo Regno e, quando si ritrovò incinta, dopo nove anni di matrimonio, volle ritornare in Italia per far nascere suo figlio a Palermo.

La fortuna non le arrise e fu costretta a fermarsi a lesi e per sfatare le tan te dicerie che circolavano sulla sua incapacità di procreare, fece piantare una tenda nella piazza del mercato e alla presenza di nobili signore maritate e dì alcuni dignitari, il 26 dicembre 1194 diede alla luce un maschietto, a cui venne imposto, in un primo momento il nome di Costantino, ma circa due anm dopo, quando venne battezzato Enrico gli impose il nome di Federico Ruggiero per ricordare i due nonni e per sancire in questo modo l’unione del Regno di Germania con quello di Sicilia. Enrico VI ebbe a vedere il figlio solo due volte, la prima a Foligno subito dopo la nascita e poi in occasione del battesimo, perché, per sua sfortuna, l’8 settembre 1196 morì di malaria e dissenteria. La sua scomparsa fece divampare in Germania una terribile guerra civile fra guelfi e svevi e in Italia scatenare l’odio contro i tedeschi e le rivolte contro i duchi e i signori insediati da Enrico. Succedeva così al trono del Regno di Sicilia un bambino cli circa tre anni, incoronato, il giorno della Pentecoste del 1198, nella Cattedrale di Palermo re di Sicilia, sotto la reggenza della madre. Questa, però, stanca delle prepotenze e dell’avidità dei tedeschi che spadroneggiavano nel governo, libera ormai dai vincoli matrimoniali, espulse Marcovaldo di Anweiler e tutti quelli che occupavano posti di prestigio: volle che il figlioletto venisse educato secondo le tradizioni normanne. Costanza, prima di morire l’anno successivo nominò, per testamento, il Papa reggente del Regno e tutore del figlio. Innocenzo III provvide subito ad inviare alcuni cardinali per badare al governo del Regno e all’educazione del piccolo Federico, ma contemporaneamente vi arrivò in Sicilia anche Marcovaldo, dicendosi reggente con disposizioni testamentarie conferitegli da Enrico VI prima di morire. Si riaccesero così le lotte con alterne vicende: al governo dei prelati seguì quello di Marcovaldo e di Guglielmo Capparone. Il piccolo Federico affidato ad alcuni ecclesiastici, imparò subito a leggere e a scrivere e dimostrò la sua vivacità di spirito e la precocità del suo ingegno. I tedeschi lo trascurarono animati solo dalla cupidigia del governo e dagli interessi personali. Lasciato in completo abbandono di se stesso e senza sorveglianza, il piccolo re crebbe chiuso, scontroso, sospettoso, vagabondo per i vicoli palermitani. In questa città cosmopolita conobbe gli usi, i costumi e ne imparò le lingue dei van gruppi etnici esistenti, siciliani, normanni, saraceni, greci, ebrei, tedeschi.

La fortuna non le arrise e fu costretta a fermarsi a lesi e per sfatare le tan te dicerie che circolavano sulla sua incapacità di procreare, fece piantare una tenda nella piazza del mercato e alla presenza di nobili signore maritate e dì alcuni dignitari, il 26 dicembre 1194 diede alla luce un maschietto, a cui venne imposto, in un primo momento il nome di Costantino, ma circa due anm dopo, quando venne battezzato Enrico gli impose il nome di Federico Ruggiero per ricordare i due nonni e per sancire in questo modo l’unione del Regno di Germania con quello di Sicilia. Enrico VI ebbe a vedere il figlio solo due volte, la prima a Foligno subito dopo la nascita e poi in occasione del battesimo, perché, per sua sfortuna, l’8 settembre 1196 morì di malaria e dissenteria. La sua scomparsa fece divampare in Germania una terribile guerra civile fra guelfi e svevi e in Italia scatenare l’odio contro i tedeschi e le rivolte contro i duchi e i signori insediati da Enrico. Succedeva così al trono del Regno di Sicilia un bambino cli circa tre anni, incoronato, il giorno della Pentecoste del 1198, nella Cattedrale di Palermo re di Sicilia, sotto la reggenza della madre. Questa, però, stanca delle prepotenze e dell’avidità dei tedeschi che spadroneggiavano nel governo, libera ormai dai vincoli matrimoniali, espulse Marcovaldo di Anweiler e tutti quelli che occupavano posti di prestigio: volle che il figlioletto venisse educato secondo le tradizioni normanne. Costanza, prima di morire l’anno successivo nominò, per testamento, il Papa reggente del Regno e tutore del figlio. Innocenzo III provvide subito ad inviare alcuni cardinali per badare al governo del Regno e all’educazione del piccolo Federico, ma contemporaneamente vi arrivò in Sicilia anche Marcovaldo, dicendosi reggente con disposizioni testamentarie conferitegli da Enrico VI prima di morire. Si riaccesero così le lotte con alterne vicende: al governo dei prelati seguì quello di Marcovaldo e di Guglielmo Capparone. Il piccolo Federico affidato ad alcuni ecclesiastici, imparò subito a leggere e a scrivere e dimostrò la sua vivacità di spirito e la precocità del suo ingegno. I tedeschi lo trascurarono animati solo dalla cupidigia del governo e dagli interessi personali. Lasciato in completo abbandono di se stesso e senza sorveglianza, il piccolo re crebbe chiuso, scontroso, sospettoso, vagabondo per i vicoli palermitani. In questa città cosmopolita conobbe gli usi, i costumi e ne imparò le lingue dei van gruppi etnici esistenti, siciliani, normanni, saraceni, greci, ebrei, tedeschi.

 Inoltre la corte palermitana era costituita da elementi di diverse razze e culture, in cui il piccolo Federico trovò altri maestri che lo avviarono alle discipline religiose e filosofiche, l’addestrarono in astronomia e astrologia e gli forgiarono il carattere e gli dettero una vastissima cultura, inculcandogli l’amore per il sapere. Da canto suo, volitivo com’era, ebbe a leggere di tutto, studiò storia, matematica e si dedicò alla botanica e alla musica e imparò a parlare ben sette lingue, in particolare l’arabo, il greco e l’ebraico. Inoltre seppe affrontare ogni tipo di lotta e maneggiare l’arco, imparò a cavalcare con destrezza ogni tipo di destrieri e ad esercitare con molta abilità la caccia. Venne anche definito astuto, malizioso, sensuale, collerico e maligno e per questo suo comportamento, fu considerato “disdicevole ed insolente, non per natura, … [ma per] effetto delle sue compagnie rozze”. Successivamente, però, i contemporanei lo soprannominarono “stupor mundi’, meraviglia del mondo, per le sue sorprendenti ed eccezionali qualità di uomo politico, di condottiero, di intellettuale. “La reggenza durò circa dieci anni nel corso dei quali Federico fu agnello fra i lupi, al centro di aspre contese tra il Papa e i feudatari tedeschi, nessuno dei quali voleva lasciarsi sfuggire la ricca preda del reame siciliano, lotte che apportarono gravi lutti e distruzioni in Sicilia e in Puglia” A quattordici anni, il 26 dicembre 1208, venne proclamato maggiorenne e l’anno successivo, su suggerimento di Innocenzo III sposò Costanza d’Aragona di dieci anni più grande, che lo segnò molto nel carattere, perché gli fece da moglie, da madre da istitutrice. Federico decise subito di governare per proprio conto e il suo pruno atto fu quello di licenziare il cancelliere Gualtieri di Paleara. L’anno successivo 1210, eletto Re di Germania, affrontò la sua prima battaglia contro Ottone di Brunswick, con una strepitosa vittoria. Venne accolto nel 1215 trionfalmente ad Aquisgrana, dove fu incoronato Re dei Romani e a 26 anni fu incoronato imperatore del Sacro Romano Impero da papa Onorio III al quale promise di bandire una Crociata per liberare Gerusalemme. Promessa che non mantenne anche dopo aver sposato Iolanda di Brienne e ricevuto il titolo di re di Gerusalemme. Per questo motivo Gregorio IX lo scomunicò nel 1227 e, per non incorrere in altre anatemi, fu costretto a partire per la Terrasanta, dove conseguì una incruenta vittoria con negoziati vari, ottenendo la restituzione di Gerusalemme. Al suo ritorno in Italia dovette pensare al riassetto dell’impero e affrontare una lunga lotta con la ricostituita Lega Lombarda che si concluse nel 1237 con la vittoria di Cortenuova.. Uomo di grande ingegno e di idee molto liberali: voleva governare in pace e dedicarsi ai suoi studi preferiti e alla caccia. Egli sapeva convivere con le altre religioni (ebraismo e islamismo) e circondarsi dei migliori ingegni dell’epoca, tenendo splendida corte a Palermo. Mise su la Scuola poetica siciliana, rinnovò l’Istituto di Medicina di Salerno e fondò l’Università di Napoli. Nel 1231 riunì a Melfi rappresentanti dell’amministrazione pubblica e della giustizia per unificare tutte le leggi delJo Stato in un unico testo legislativo, che andò sotto il nome di Liber Costitutionum o LiberA ugustalts, oggi meglio conosciuto come Le costituzioni di Melfi. Federico II rifiutò l’ingerenza della Chiesa negli affari dello Stato e i rapporti col Papa divennero molto tesi e difficili che gli causarono altre scomuniche e l’astiosità dei Comuni.

La quiete programmata non si verificò  e fu costretto ad affrontare nuove e lunghe guerre. Altro problema da risolvere era quello di combattere i Saraceni che si annidavano fra i monti siciliani, commettendo continue razzie. Dopo averli sconfitti, li deportò in Puglia, e li costrinse a vivere a Lucera, ma li consentì di esternare l’esercizio del diritto islamico, sempre nel rispetto della tradizione normanna dell’Italia meridionale. Federico II apprezzò, poi questa colonia e la utilizzò per la ricostruzione del castello e per l’ampliamento della città di Lucera facendo costruire sontuosi palazzi. Finì con l’affezionarsi a dispetto dei rimproveri che gli pervenivano dal Papa. Né si può escludere che si servì di loro anche per la difesa dei centri più esposti al pericolo di invasione e di ribellione, perché li dislocò anche sulla fascia costiera garganica. Questa permanenza è testimoniata dalle strutture architettoniche di stile moresco ancora visibili a Rodi Garganico, a Peschici e a Vieste. In questo periodo l’imperatore fu costretto a viaggiare in lungo e in largo attraverso tutti i suoi territori, specie quelli meridionali, per rappacificare le vane contrade, per ampliare le città in cui vi era un maggior flusso commerciale e produttivo, per costruire nuovi castelli, rimodernare e fortificare quelli più vetusti. La sua presenza volle essere messa come quella dell’unico signore, a cui si doveva obbedienza, perché egli solo era il depositario dell’Impero il Cesare che emanava le leggi. Dai Registri Federiciani risulta che l’imperatore venne a Vieste una prima volta il 20 febbraio 1234 con quattro galee e che vi rimase per un mese. Si può ipotizzare che egli mirava ad ispezionare i luoghi fortificati per la sicurezza della Capitanata, o per ordinare la costruzione di un certo numero di navi o anche per dedicarsi alla sua passione preferita, la caccia. I boschi del Gargano, specie quelli della Foresta Umbra, molto vicini a Vieste, erano ricchi di fauna sia stanziale che migratoria. Vi ritornò nel 1240. Mori il 13 dicembre 1250 per dissenteria a Castel Fiorentino, località fra Lucera e Torremaggiore.