I SEGNI DEL CRISTIANESIMO

L’evidenza archeologica dimostra che a partire dal IV secolo in poi si diffonde nella regione garganica il Cristianesimo, che certamente dovette avere i primi nuclei nei centri costieri, donde solo più tardi e lentamente potè raggiungere alcune località dell’entroterra. I monumenti finora scoperti sono quasi esclusivamente complessi funerari; in alcuni di essi si rinvengono caratteristiche tecniche e morfologiche nell’escavazione e nella costruzione di tombe, che richiamano esempi siculi e maltesi, talora senza alcun tramite di altri centri della penisola. In particolare il sarcofago con “baldacchino”, di cui si ha un solo esempio nelle catacombe di Roma ed è del tutto sconosciuto nel resto della penisola, trova perfetti riscontri in complessi funerari siculi e maltesi. Questo fenomeno potrebbe sembrare strano, dal momento che non si hanno “notizie di contatti diretti del Gargano con la Sicilia e Malta che possano spiegare l’analogia dei monumenti; è più facile pensare che essi risentano tutti di una comune origine orientale”. Comunque, si può ritenere “per certo, considerando la natura dei luoghi che assicuravano asilo e solitudine, una penetrazione dei gruppi monastici o provenienti direttamente dall Oriente sconvolto dall’invasione arba o risalenti la penisola della Sicilia in cerca di luoghi meno esposti a scorrerie di predoni e ad eserciti invasori. Il Gargano aveva nei suoi boschi interni un sicuro rifugio e offriva nella prossimità del mare condizioni ideali per la vita ascetica e per quella comunitaria”. Gli ipogei sepolcrali costituiscono l’unica testimonianza, forse, pervenutaci della diffusione del Cristianesimo nel Gargano se non in età apostolica, come vogliono alcune leggende locali, certamente nei primi secoli della sua diffusione. Il loro studio sistematico, nonostante lacune ed incertezze, darà senz’altro risultati che gioveranno decisamente alla migliore conoscenza dell’ambiente religioso e sociale del Gargano in età paleocristiana e altomedioevale. Questi complessi funerari si distribuiscono lungo tutto l’arco del litorale garganico. Nel territorio viestano, partendo dalla costa meridionale, si trovano i complessi di Menelite e S. Tecla, nei pressi di “Pugnochiuso”, poi quello di S. Salvatore e, verso Vieste, quello di Grotta spagnola.

A Vieste vi sono i complessi di S. Nicola, in località Pantanello”, e quello di S. Eugenia, alla “punta del Corno”; quest’ultimo, però, è andato completamente distrutto. Fino al secolo scorso erano noti i luoghi dove erano gli altari e si vedevano al centro della grotta quattro colonne incavate nella pietra e intorno anche fosse per seppellirvi i morti; ai Iati appena vi si scorgevano alcune pitture corrose dal tempo. Altri complessi si trovano sul litorale nord di Vieste, tra i quali sono da segnalare quello di S. Lorenzo, orn1ai con1pletamente distrutto dall’impianto di una cava, e quelli nei pressi di Merino, il primo in località Caprarezza” e l’altro, il più importante di tutti, in località “La Salata”. Di questi complessi il solo che presentava avanzi di affreschi orientaleggianti e raffiguranti santi è quello di S. Lorenzo; in tutti gli altri, almeno fino ad ora, non è stato osservato alcun graffito o croce. Solo alcune lucerne sono state rinvenute a S. Tecla e a S. Salvatore. Nel complesso di Grotta spagnola, costituito da un solo ambiente a pianta grossolanamente ellittica che pre- senta un pilastro centrale atto a reggere la volta, fu estratto del n1ateriale osseo umano, attribuito all’alto medio- evo. Esso comprende i resti di almeno 12 adulti (6 maschi e 6 femmine) e di almeno 7 fanciulli, appartenenti molto probabilmente ad una stessa famiglia, dal momento che essi costituiscono una serie abbastanza omogenea. I crani sono dolicomorfi, con basso indice cefalico orizzontale e moderatamente alti, con curvatura della vo1ta di solito regolare ed occipite alquanto sporgente. L’indice del Giardina li classifica tra gli ortocefali. Scarsi frammenti di faccia permettono di associare a questi crani, dai frontali proporzionati, facce piuttosto lunghe, con orbite alte e nasi stretti. Le ossa lunghe degli arti forniscono una statura maschile di cm. 164,3 (da 12 osservazioni) ed una femminile di cm. 153 (da 9 osservazioni). Questi valori sono più che discreti per quei tempi nei nostri luoghi e mostrano il consueto divario sessuale. Altri scheletri medioevali rinvenuti nei dintorni di Vieste danno stature un poco più basse, rispettivamente cm. 160 (da 3 ossa lunghe) e cm. 147,8 (da 4 ossa lunghe).

Anche le ossa lunghe confermano l’impressione, offerta dai crani, di appartenere ad individui ormai morfologicamente vicini agli attuali, ma con qualche residuo arcaico. Nel complesso, questa serie di Grotta spagnola è inquadrabile in un tipo mediterraneo ormai specializzato. Una struttura architettonica molto interessante pre: senta il complesso paleocristiano di S. Nicola in località “Pantanello”, a nord di Vieste. Esso è costituito da quattro vasti ambienti che potrebbero meglio essere definiti cripte. Di esse soltanto una non risulta adibita a sepoltura. Essa ha una pianta molto regolare e la volta quasi a cupola, retta da sette colonne a sezione circolare, disposte con un certo ordine. Questo ambiente, che contiene diversi lucernari, viene considerato un luogo di riunioni sacre, ma questa ipotesi potrebbe trovare conferma qualora si riuscisse a dimostrare la presenza di monaci basiliani nel nostro territorio. Le altre cripte, costituite da ambienti molto irregolari presentano entrambi i sistemi di sepoltura caratteristici degli altri complessi garganici: quello con tombe ad arcosolio e quello con semplici loculi scavati in parete e disposti a pile. Vi si trovano in esse anche numerose tombe terragne e diversi poggia-lucerne. Il complesso sepolcrale della “Salata” si trova quasi in riva al mare, a qualche centinaio di metri dai ruderi di Merinum. Vi si accede seguendo una stradina campestre che, partendo dalla litoranea Vieste-Peschici porta al Gabbiano. Il posto è suggestivo: da una parte la roccia quasi interamente ricoperta di loculi ormai vuoti che si impone per il suo aspetto solenne e maestoso, da1l’altra il mare il cui mormorio rompe il silenzio che circonda questa zona, che il Ruberto giustamente ha definito “la città dei morti”. Al visitatore si presenta una parete rocciosa alta circa 50 metri che cade quasi a picco e, allargandosi verso il basso, forma cavità che terminano in gole più o meno profonde, ricoperte da loculi di dimensioni varie disposti a più ordini, ma in modo irregolare nella roccia. Non mancano gli arcosoli; su una parete ve ne sono due sovrapposti in mezzo a loculi scavati più o meno regolarmente che raggiungono una notevole altezza.

Altri se ne vedono sparsi un pò ovunque, anche se non tutti si conservano allo stato originario. Su alcune pareti si nota la massima economia dello spazio: si è scavato anche laddove la roccia presentava uno spazio vuoto per ricavare molte volte addirittura un loculo non in perfetta posizione orizzontale. E’ impossibile rilevare con esattezza il numero delle tombe che si trovano su queste pareti. Considerando solamente quelle di cui si distingue chiaramente la sagoma, esse raggiungono approssimativamente un numero di ottanta, di cui almeno una diecina a foggia di arcosolio. Numerose sono anche le tombe terragne. Accanto a queste pareti rocciose ricoperte di loculi si trovano veri e propri ambienti scavati nella roccia, uno dei quali in posizione sopraelevata. Ad esso si accede tramite sei caratteristici gradini appena abbozzati nella roccia. La porta d’ingresso è ben squadrata e presenta i caratteristici fori alle estremità, che confermano l’esistenza d’un sistema di chiusura. L’interno di questo ipogeo presenta una pianta triangolare, con il lato a destra alquanto irregolare con vari loculi, la cui struttura è molto imprecisa. L’angolo in fondo presenta su ognuno dei due lati pile formate ciascuna da due sepolcri (m. 1,60 x 0,50). Altre due pile di loculi si trovano sulla parete che segue. Il lato a destra dell’ingresso è quasi completamente crollato, per cui la sua struttura non si distingue, mentre la parete, ora sfondata, comunica con l’esterno. La copertura dell’ipogeo è piana; la sua altezza dal piano di calpestìo è di m. 1,90. In esso si contano cinque tombe terragne. L’ipogeo sottostante è formato da due ambienti intercomunicanti, ma entrambi in comunicazione con l’esterno. Il primo ambiente, a pianta quadrata, presenta un pilastro al centro atto a reggere la volta piana, alta m. 1,70 dal piano di calpestio. Solo su due pareti vi sono loculi: la parete a destra, che contiene due arcosoli trisomi, e la parete di fondo che presenta tre arcosoli monosomi con la curvatura dell’arco molto accurata. Altri loculi si notano sulla parete esterna, sulla porta d’ingresso. Sul pavimento di questo ambiente si trovano numerose tombe terragne disseminate in ordine sparso.

L’altro ambiente ha una struttura semicircolare: il lato destro presenta, oltre alla porticina di comunicazione con il primo, un arcosolio alquanto rovinato; sulla parete che segue sono disseminati in ordine sparso dieci loculi. Anche questo ambiente presenta numerose tombe terragne. Da una delle gole formate dalle pareti rocciose scaturisce un rivolo di acqua salmastra che, dirigendosi verso il mare, chiude l’accesso agli ipogei descritti. Sulla sinistra di questo piccolo corso d’acqua s1 trova un altro ipogeo attualmente in uno stato di avanzata distruzione. Anch’esso è costituito da due ambienti: il primo, a pianta rettangolare, presenta un arcosolio monosomo sulla parete di fondo e sulle pareti laterali due pile composte, rispettivamente, da due e tre loculi. Questo ambiente è ricoperto da una volta piana alta m. 1,60. Il suo piano di calpestìo è completamente ricoperto di tombe di varie dimensioni. Una porticina tagliata ad arco mette in comunica- zione con l’altro ambiente, la cui conformazione è molto irregolare. Esso presenta due arcosoli, il primo sul fondo della grotta e l’altro di fronte, sulla destra, nonchè diversi loculi in parete. In questo ambiente si notano varie mensolette per lucerne sparse sulle pareti, mentre sul pavimento si notano sette tombe terragne. A poca distanza da questo ipogeo, sulla sinistra del Gabbiano, si trova un altro piccolo ipogeo, la cui pianta, molto regolare, ricorda quella di un altro ipogeo che trovasi in località “Niuzi”, presso Ischitella. La porta d’ingresso larga un metro e alta mt. 1,40 mostra alle estremità superiori due fori atti ad accogliere i cardi- ni di una porta; lungo uno degli stipiti si nota una scanalatura molto precisa che conferma anche qui l’esistenza di un sistema di chiusura. L’ipogeo, che fino a qualche tempo fa era preceduto da un lunghissimo corridoio d’accesso o dromos, attualmente è adibito a deposito. Altri due ipogei si trovano al di sopra del precedente, sempre sulla sinistra, a mezzo costa dell’altura. Il primo è formato da due ambienti coperti da una volta piana e collegati da un braccio trasversale.

In questo ipogeo si trovano usati entrambi i sistemi di sepoltura caratteristici di questo complesso (quello con tombe ad arcosolio e quello dei semplici loculi scavati in parete), diverse mensolette per appoggiare le lucerne e moltissime tombe terragne scavate con un certo ordine. L’altro ipogeo, a forma di una grande sala quadrangolare, presenta sette arcosoli e molte pareti poco sfruttate, mentre il pavimento è completamente ricoperto da tombe terragne disseminate in ordine sparso; al centro, verso il fondo, vi è un massiccio pilastro che sostiene la volta piana. Esso è preceduto da un dromos. L’elemento più importante di questo ipogeo è costi- tuito da un arco poggiante su una base rettangolare (mt. 1,80 x 0,50 x 0,90) che si congiunge con la volta. Si tratta di un “baldacchino” di cui è crollata la parte anteriore, il quale molto probabilmente conteneva una sola tomba, nonostante le sue eccezionali dimensioni. E’ evidente che “si è voluto accentuare il suo carattere monumentale, destinato ad accogliere forse le spoglie di una personalità di grande rilievo”. Tutti gli ipogei descritti, fatta eccezione per la parete rocciosa disseminata di loculi, sono costituite da ambienti scavati artificialmente nella roccia o al massimo ricavati adattando e modificando cavità naturali preesistenti. L’aspetto di questo complesso non si discosta dai sepolcreti paleocristiani disseminati sia lungo la costa che nell’interno della regione garganica. Tuttavia, qui si trovano in prevalenza loculi scavati nelle pareti, mentre negli altri complessi tale sistema è usato solo marginalmente. Vi è da notare, però, che la roccia da cui è ricavato questo complesso si presenta molto compatta, mentre gli altri ipogei nei quali prevale l’arcosolio sono ricavati dal tufo calcareo molto tenero. E “certamente la natura della roccia ha imposto agli scavatori del complesso della Salatella una struttura più semplice”. Durante i lavori di scavo effettuati nella zona di Merino sono state rinvenute diverse lucerne che presen- tano segni visibilissimi del primo cristianesimo. Molti di questi pezzi sono andati ormai dispersi, mentre altri si conservano ancora. In particolare, sono andati perduti due interessanti frammenti di lucerne di cui si conserva, per fortuna, solo una immagine.

Essi recavano incisa la figura dell’orante e quella dell’angelo, entrambe molto stilizzate. Il citato Ruberto attesta di aver rinvenuto nella zona degli scavi lucerne col simbolo della palma, del pesce, dell’albero coi frutti e altre ancora con simboli, fregi e ornamenti diversi, nonché un frammento recante una figura di donna, i cui “motivi orientaleggianti sono visibili dalle vesti, dai gioielli, dal diadema simile a quello che troviamo sulla fronte dell’orante”. Un’altra lucerna presentava un monogramma in rilievo, ossia le lettere greche X e P sovrapposte, con il P fatto a rovescio. Questi pochi reperti, oltre ai monumenti sepolcrali esaminati, valgono a testimoniare la presenza del cristianesimo nelle nostre regioni, mentre alcune immagini riprodotte sulle lucerne attestano chiaramente i contatti che il Gargano ebbe in quel periodo con l’Oriente.

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