Storia del Gargano

Complesse e di non facile lettura sono le relazioni che collegano il Gargano a miti classici tardoantichi e altomedievali e al santuario micaelico francese di Mont Saint-Michel. Suggestiva la stessa questione del toponimo, che le ultime ricerche considerano connesso al gigante Gargano, dio pre-greco che ha conosciuto un culto nel bacino del mediterraneo e nell’occidente francese. Il mito ci giunge, oltre che tramite la letteratura latina (Valerio Flacco riteneva che l’uccisione di Caco fosse opera del pastore Gargano (Garano) e non di Ercole) anche direttamente con la colonizzazione greca dell’Italia meridionale, mediato dalla figura di Eracle (Ercole) come rappresentazione e incarnazione del gigante Gargano. Recenti studi archeologici hanno evidenziato che il Gargano è stato al centro di un processo evolutivo e culturale fra i più proficui di tutta l’Europa occidentale. Diffusa la presenza dell’uomo paleolitico in diverse zone del Gargano (Grotta Paglicci, grotta Tegliacantoni, Defensola, Foce Romondato, Grotta Spagnoli…). Tra queste la Grotta Paglicci rappresenta un caposaldo nello studio della civiltà paleolitica in Italia e in Europa, sia per la varietà degli strati archeologici documentati da un ricco corredo di reperti su flora, fauna e condizioni dell’uomo preistorico, che per la presenza delle più antiche pitture rupestri, rinvenute finora in Italia. Il passaggio dal Paleolitico al Neolitico comportò una diversa ridistribuzione spaziale degli insediamenti e il cambiamento di vita tra le due epoche non fu né facile né rapido. A Coppa Nevigata (Manfredonia), si trovano forme di vita “di transizione”, fra il mondo paleolitico e quello neolitico, di cui espressione evidente è una economia basata non più esclusivamente sulla caccia, ma sulla raccolta di molluschi. Nascono in questa fase di transizione i “villaggi trincerati” tra cui il villaggio trincerato di Passo di Corvo, “unicum” nel processo di civilizzazione del Neolitico dauno. L’insediamento preistorico di Grotta Scaloria e Occhipinto (Manfredonia), rappresenterebbe l’approdo finale, alla fine del V millennio, della grande stagione dell’età della pietra nuova. I numerosi insediamenti neolitici del Gargano erano collegati fra di loro da frequenti rapporti commerciali sia con i popoli situati a Nord-Ovest del Gargano stesso che con tutta l’area della civiltà appenninica, che con il mondo egeo, di cui sono testimonianze i ritrovamenti di vasellame e di ceramica. Conferma di questo è la diffusione di un notevole commercio dell’industria della selce, presente già in età paleolitica e neolitica.

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La presenza dei Dauni in terra garganica è testimoniata dal ritrovamento di numerose stele, ubicate un po’ dovunque sull’intero territorio garganico. La necropoli di Monte Saraceno dell’età del Ferro, con le sue 400 tombe, sarebbe uno dei primi insediamenti liburnici esistenti sulle sponde lagunari del Gargano. Durante il periodo di massimo sviluppo della civiltà dauna, caratterizzata da un mondo religioso ricchissimo di culti e da una fiorente cultura artistica, ebbe inizio la colonizzazione greca che sostituì i propri costumi a quelli fino ad allora tramandati.Il Gargano entra nell’ambito della civiltà romana nella seconda metà del IV secolo a.C., quando, nella lotta contro i Sanniti, le città daune appoggiarono Roma. Durante il periodo romano il Gargano si arricchirà di città come Argos Hippium (Arpi) e Sipontum (Siponto) , città importanti per cultura e sviluppo economico, dovuto in parte al commercio marittimo e alla posizione di “Ponte fra Occidente e oriente”. Alcuni centri lungo la costa garganica erano Merinum (Vieste), Portus Garnae (Rodi Garganico), Portus Agasus (Portogreco) e Matinum o Apeneste (Mattinata). All’interno vi era Uria e Devia. In età tardo-antica questi centri si trasformarono gradualmente in tanti “vici”, vere e proprie unità insediative che saranno i futuri abitati medioevali garganici. La guerra greco-gotica (535-553) apporterà rovine e distruzioni nei centri dauni, depauperando l’economia e evidenziando una perdita di autorità dell’amministrazione romana che permetterà l’affermazione del Cristianesimo. D’altro canto i centri garganici erano già diocesi rette da vescovi ormai divenuti gli artefici della rinascita spirituale e civile delle città romane, come Lorenzo Maiorano, vescovo di Siponto, artefice della fondazione del santuario di San Michele e dello sviluppo del pellegrinaggio micaelico con cui il Gargano entra nella storia della civiltà medievale occidentale, con tutto il suo patrimonio religioso e anche culturale. Il pellegrinaggio che si sviluppò intorno al Santuario e al culto di San Michele, infatti, determinerà nel VII secolo, la conversione dei Longobardi al Cristianesimo, tanto che l’Arcangelo Michele diventerà il loro santo protettore e verrà effigiato sia sulle loro armature che sulle monete. A testimoniare il rapido diffondersi della nuova religione sono anche i numerosi complessi paleocristiani sparsi un po’ ovunque nel territorio garganico.

Antica carta geografica del Gargano Il collegamento fra Benevento, sede del ducato, e il Gargano, sede del culto micaelico, rimarrà una delle costanti principali del Medioevo e favorirà lo sviluppo religioso ed economico dei centri garganici, specie quelli che si troveranno sulla principale direttrice viaria che prenderà, in seguito, la denominazione di Via Sacra Longobardorum. La riconquista del Gargano da parte dell’impero bizantino alla fine del IX secolo e nella seconda metà del X, oltre alle frequenti scorrerie dei Saraceni e degli Slavi lungo le coste adriatiche, favorirà il sorgere di una vera e propria “civiltà rupestre”, che si caratterizzerà nella creazione di numerosi villaggi sparsi. Insediamenti rupestri sono evidenti nei centri storici di Peschici (il Rione delle Grotte all’ingresso del paese), di Vico del Gargano (Casale, Civita e Terra) e di Monte Sant’Angelo (Rione Junno). Questi centri sono caratterizzati, a livello urbanistico, da una “architettura spontanea”, le cui origini sono rintracciabili in quella che è stata l’evoluzione architettonica che si affacciava sul Mediterraneo. Durante l’XI secolo il dominio bizantino sarà più stabile e accompagnato da un chiaro disegno complessivo di grecizzazione delle strutture politiche, amministrative, religiose e culturali, favorirendo, in parte, la ripresa sociale ed economica dei centri urbani, soprattutto quelli costieri. Già a partire dall’XI secolo si affermeranno, per poi svilupparsi nel XIII, i germi di una nuova stagione politica caratterizzata dalla formazione di un ceto urbano più influente unito ad una ripresa di autorità dei vescovati, che porterà fra l’altro, alla costruzione o ricostruzione di numerose chiese e cattedrali.

Periodo Normanno L’arrivo dei Normanni troverà terreno fertile per una rinascita globale non solo del Gargano, ma dell’intera Puglia e delle sue città. Avvenne proprio nel santuario di San Michele sul Gargano l’incontro fra Normanni e Melo da Bari, esponente più insigne dell’antibizantinismo pugliese,che chiese aiuto, nella sua lotta contro i Bizantini, ad un gruppo di pellegrini normanni tornati dalla Terra Santa. Da questo momento (1017) i Normanni, tornati in forze in Capitanata, sconfiggeranno i Bizantini, iniziando così la conquista normanna dell’Italia meridionale. La relativa stabilità del loro dominio creerà le condizioni per una rinascita economica e sociale, favorito anche dall’atteggiamento normanno abbastanza elastico nei confronti delle autonomie e dei privilegi conquistati dai ceti urbani ormai in espansione.  Nell’XI secolo popolazione protagonista della storia in terra garganica fu quella normanna che fondò il Castello di Vico del Gargano, città tra i ‘Borghi più belli d’Italia da visitare soprattutto nel periodo di San Valentino, dove viene letteralmente invasa da innamorati pronti a scambiarsi promesse d’amore nello strettissimo Vicolo del Bacio.Tale spirito di autonoma volontà politica determinerà sul Gargano, alla fine dell’XI secolo, la nascita di un vero e proprio “Comitatus”, ad opera del conte Enrico, di cui faranno parte diversi centri garganici in una perfetta unità di intenti politici e di scambi economici e culturali. Espressione di questa età saranno le cattedrali romaniche, simbolo di rinascita spirituale ed economica. Il Gargano, con il fervore di vita che si manifesterà (soprattutto nei centri costieri), parteciperà attivamente alla rinascita culturale della Puglia, che vedrà, proprio sotto i Normanni, una grande fioritura di chiese, palazzi e castelli. Ne sono esempi emblematici le chiese di Santa Maria e di San Leonardo di Siponto, le cattedrali di Vieste, l’Abbazia di Santa Maria di Tremiti, la Chiesa di Santa Maria di Monte Devia in San Nicandro Garganico, l’Abbazia di Calena a Peschici, il Battistero di San Giovanni in Tumba e la chiesa di Santa Maria Maggiore in Monte Sant’Angelo; tutte caratterizzate da un nuovo linguaggio artistico, autonomo ed innovativo rispetto a quello bizantino, che delineerà i caratteri dominanti del linguaggio romanico (come il pulpito della cattedrale di Siponto – 1039 – e quello del santuario di San Michele – 1041).

Periodo svevo Con gli Svevi il paesaggio urbano della Puglia e del Gargano cambia volto, passando, con Federico II e suo figlio Manfredi, dalla “civiltà delle cattedrali” a quella dei castelli. Il figlio Manfredi, nel Gargano, consolidò il castrum di Monte Sant”Angelo e fece costruire castelli a Vico del Gargano, Vieste, Carpino, Sannicandro Garganico, Apricena, ecc.., ma soprattutto eresse nel 1256 una vera e propria città, Manfredonia, dopo che Siponto era stata distrutta da un terremoto. Anche in campo culturale, sotto gli Svevi si avrà un’alta produzione artistica, come dimostra la chiesa di Santa Maria Maggiore in Monte Sant’Angelo. Periodo angioino-aragonese In seguito, con Angioini e gli Aragonesi, si perderanno i caratteri di individualità culturale, per dare posto a nuove culture straniere, fra cui l’arte gotica d’oltralpe. Si avrà anche un progressivo infeudamento, iniziato in età sveva, dando origine ad una massiccia riorganizzazione delle masserie cerealicole e delle aziende zootecniche. Questo processo di ruralizzazione diventerà, in seguito, un elemento caratterizzante dell’intero sviluppo economico e sociale e subordinerà ad esso qualsiasi iniziativa tendente verso una sua possibile industrializzazione. L’istituzione, poi, della Regia dogana della Mena delle pecore di Foggia, ad opera del re Ferdinando I d’Aragona, determinerà il completo abbandono delle terre dell’intera Capitanata, che si vide privare di un ricco patrimonio economico, usato ormai solo come terra di pascolo e di transito per le greggi provenienti da Molise e dagli Abruzzi, assumendo marcate caratteristiche pastorali. Tutto ciò produsse, fra il XIV e il XV secolo, la scomparsa di numerosi villaggi rurali e il fenomeno, ancora oggi presente, dell’accentramento della popolazione urbana e il territorio andò segnandosi di una fittissima rete di tratturi, destinati al transito del bestiame, con presenza di poste, di masserie da campo e da pecore, nonché con i famosi e caratteristici recinti detti “jazzi”. Durante il periodo aragonese si hanno in Puglia vari tentativi di restaurazione angioina e rivolte baronali. Ferdinando I, per pacificare la regione, concede in feudo il Gargano al principe albanese Giorgio Castriota Iskander (lo Skanderbeg), mentre le città costiere incominciavano ad essere insediate dai Turchi.

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La conquista islamica di paesi come l’Egitto e la Siria aveva permesso ai musulmani la creazione in un tempo relativamente breve di una flotta capace di insidiare la supremazia bizantina nel Mediterraneo. Soprattutto sulla costa nordafricana e su quella spagnola si erano andati costituendo vari emirati dove la componente locale si fuse presto con quella araba e berbera. Ciascun emirato aveva a capo un emiro il quale, a parte una formale sudditanza ad uno dei tre califfi che tra VIII e IX secolo si spartivano l’Impero islamico (Cordova, Cairo e Baghdad), erano sostanzialmente indipendenti.  Tra il II secolo e il V secolo si osserva una progressiva scomparsa degli arabi dalle fonti antiche, e compare più frequentemente il termine “saraceni”. Tolomeo, nella sua Geographia nomina sarakene come una regione tra Egitto e Israele che comprende il Sinai, chiamata così per la città di Saraka, e menziona anche la tribù dei sarakenoi che abitavano il nordest arabo. Ancora vivi nella memoria della gente garganica sono gli eccidi perpetrati dai Turchi, prima a Vieste nel 1554, dove perirono più di 5000 abitanti, molti dei quali decapitati su quella che viene chiamata da allora la “chianca amara”, e poi a Manfredonia, nel 1620, che venne occupata ed incendiata. Risalgono al regno di Ferdinando il Cattolico le numerosi torri di difesa, sorte lungo le coste garganiche, così come i frequenti fenomeni di brigantaggio e taglieggiamento nelle campagne. Gravissimi furono poi i danni subiti a causa del grande sisma della Capitanata del 1627 e del successivo terremoto del Gargano del 1646, che provocarono migliaia di vittime tra la popolazione. Il Gargano, dopo un lungo periodo di sviluppo e benessere, verso il 1300 d.C. cominciò un lungo e triste declino, imputabile a più fattori, che lo riportò all’antico isolamento e povertà. Chiese , Abbazie, Città andarono in rovina o sparirono; di conseguenza tutte le attività ebbero un rallentamento o andarono a morire e le fiere e generosi genti di questa terra dovettero abbandonare il tutto in cerca di un lavoro lontano. Il Gargano, per la sua particolare posizione, fu punto d’incontro di culture e civiltà diverse e più popoli percorsero in lungo e in largo questa terra lasciando, nel bene e nel male, i segni del loro passaggio. Nessuno, però, di questi popoli riuscì ad assimilare il “Popolo Garganico”; tutt’ora, infatti, è quasi un’isola etnica inserita nel contesto meridionale con caratteristiche proprie. 

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Periodo borbonico La politica dei Borboni evidenzia una maggiore attenzione ai bisogni reali dei centri urbani, una politica tendente a frenare gli abusi feudali e i privilegi ecclesiastici. Tra il 1806 e il 1815, con i francesi, si ha il fenomeno dell’eversione della feudalità, il frazionamento del Tavoliere con la conseguente censurazione, l’abolizione della Dogana e la revisione dei catasti e, conseguentemente, le terre furono sottratte al pascolo e al bosco, quindi dissodate e poste a coltura. Infine si riuscì a predisporre un organico piano per la bonifica delle zone paludose, come quelle sipontine. I risultati di questa politica di rinnovamento furono minori rispetto alle attese e ai proponimenti e trovò un’accanita resistenza da parte dei nobili locali, dei latifondisti e del clero. D’altro canto, però, creò le basi per il progressivo depauperamento del ricco patrimonio boschivo e forestale del Gargano, il quale, da questo momento, si vide spogliato dei suoi secolari boschi. Con Ferdinando II, nel Gargano si evidenzia un ritorno al latifondo e alla transumanza: sorgeranno numerose masserie da campo e da pecore

Venne rivolto alla repressione del brigantaggio uno dei primi provvedimenti di Gioacchino Murat, salito sul trono di Napoli nel luglio del 1808. Per porre termine agli orrori ai danni delle popolazioni pugliesi, mise al bando chiunque venisse sorpreso con le armi in pugno, decretò il giudizio sommario per quanti fossero colti con le armi in pugno, giunse a vietare provvedimenti di clemenza, pose una taglia fino a 500 ducati sulla testa dei banditi e minacciò confische di beni e rappresaglie ancora più gravi contro chiunque aiutasse i malviventi. Per i parenti dei fuorilegge, poi, erano previste misure severe. Se poi qualcuno era stato costretto con la forza ad offrire assistenza ai malviventi, aveva tempo solo fino alle sei ore successive per la denuncia, prima di essere trattato alla pari dei briganti e dei favoreggiatori. Non era certo sereno il volto del Sud all’inizio del XIX secolo: strade malsicure, furti, ricatti, sequestri, una pressione intollerabile, che Murat si proponeva di cancellare in breve tempo, esattamente come avevano fatto e faranno successivamente i Borboni. Il brigantaggio in Capitanata è stato endemico, soprattutto nelle inesplorabili foreste garganiche, “ospitali” solo per gli uomini alla macchia. Nessuno ha nostalgia di quei predoni, nessuno dedica loro poemi, romanzi, opere teatrali. Quei i proto-briganti non sembrano eroi romantici né fanno sospirare le donne dei nostri giorni.