Vittorio Valeri

via Vittorio Valeri (già via E. Bacco)
Medaglia di Bronzo al V.M.

Come già detto per Carlo Mafrolla, quel pomeriggio del 16 settembre del 1943 Vieste visse momenti di terrore, quando un reparto di soldati tedeschi, non avendo ottenuto la resa della città, uscì da Vieste sparando all’impazzata con la mitragliatrice posta sul camion. Azione questa, a testimonianza di alcuni anziani, per intimorire gli abitanti, poiché i colpi erano diretti verso l’alto. Fra la gente, però, ci fu il fuggi fuggi e ognuno cercò riparo nelle case, nei negozi e nei portoni. Anche il carabiniere Vittorio Valeri, al crepitio della mitraglia, dovette credere ad un attacco armato contro Vieste e, sbucando da via Milano, all’imbocco di viale XXIV Maggio, pistola alla mano, accorse convinto di contrastare una rappresaglia. Ebbe il tempo di sparare solo un colpo quando venne falciato dall’arma automatica. Allo stesso tempo una bomba a mano, proveniente dal balcone della caserma dei carabinieri distante una decina di metri, scoppiò davanti all’automezzo. Fu il carabiniere ausiliario Vito Alò a lanciarla. Il camion accelerò allora la marcia passando sotto i colpi delle pistole degli altri carabinieri. I tedeschi in fuga spararono allora ad altezza d’uomo e Michele Calabrese, che usciva dalla sua stalla, si salvò per puro miracolo, perché un colpo di mitraglia lo sfiorò appena, lasciando però il segno sullo stipite del portone attiguo e sull’anta sinistra dell’uscio dove si conficcò la pallottola, le cui tracce sono ancora visibile. Vittorio Valeri, intanto, venne soccorso da due donne, Michelina Dirodi e la figlia Graziella Cionfoli, che lo portarono in casa loro e, adagiato sul letto, tentarono di fermare il flutto di sangue che fuoriusciva dal petto e dal dorso. Il loro aiuto non produsse effetto, perché di lì a poco il coraggioso giovane carabiniere morì. La pistola fu raccattata da un certo Antonio, abitante in quella stessa via Milano che la consegnò al maresciallo Zingarelli intervenuto con altri carabinieri a soccorrere il commilitone. Sull’episodio del lancio della bomba ci sono, però, altre versioni contrastanti: alcuni anziani sostengono che a lanciarla sia stato un soldato sbandato, altri invece riferiscono che sia stato Michele Dirodi (alias la Striscia), il dott. Vincenzo Pecorelli, allora ragazzo, testimone della scena, afferma che la bomba partì dalla caserma dei carabinieri, mentre il signor Camillo Marchetti, anch’egli allora ragazzo, suppone che sia stato lo stesso Valeri.

Poco prima di morire, Vito Alò mi confermava che l’autore del lancio era stato proprio lui, notizia questa a me confermata successivamente dalla moglie e dal figlio Nicola. Nell’Archivio della Caserma non vi sono tracce di questo avvenimento, mentre dall’Ufficio Storico dell’Arma dei Carabinieri, nel conferimento della medaglia di bronzo alla memoria, è riportato la seguente motivazione: “Valeri Vittorio di Franco, da Vittorito (L’Aquila). 943.09.16. – Medaglia di Bronzo al V.M. (alla memoria). “In zona occupata da truppe tedesche, durante un attacco ad un autocarro germanico recante militari muniti di armi automatiche, con alto sprezzo del peri- colo e non comune spirito di aggressività, si lanciava contro l’automezzo per colpirlo con bomba a mano. Nell’ardimentoso tentativo cadeva colpito a morte”. Vieste (Foggia). Legione di Bari. D. Luog. 21 dicembre 1945 (B.U.M.G. 1946, dispensa 7°, pag. 759). Da canto suo il maresciallo maggiore a cavallo, Carlo Zingarelli, comandante la locale stazione, nel verbalizzare l’atto di morte, trascritto nel relativo Registro dell’anno 1943, alla parte II, serie C, n. 6, dello Stato Civile di Vieste, non fa alcun cenno allo scoppio della bomba a mano, si limita soltanto a dichiarare “che il sedici settembre millenovecemtoquarantatre, alle ore diciassette, nei pressi di questa caserma è morto il carabiniere Valeri Vittorio di anni ventisei, figlio di Franco e di Felice Raffaela, nato e residente in Vittorito (provincia di L’Aquila), celibe. Il nominato carabiniere Valeri Vittorio è morto in seguito a raffica di mitragliatrice nemica che lo colpì alla testa ed al petto ed è stato sepolto nel cimitero di Vieste”. Non è purtroppo noto quello che il maresciallo ha comunicato con il suo rapporto ai suoi superiori. Si aspettava, intanto, una rappresaglia da parte dei tedeschi e questo avvenne l’indomani quando un folto gruppo di tedeschi si presentò in Vieste acciuffò una decina di persone che tenne in piazza nei pressi dell’attuale edicola dei giornali sotto la mira di una mitraglia. Fra questi vi erano come già detto avanti Santi Simone (alias Frittata), Gaetano Caizzi (falegname detto ‘u Pastòleche), Matteo Corso (alias Chianella), Francesco Somarrelli, Giacomo Ricapita, Vincenzo u barese ed alcuni soldati sbandati. Essi sarebbero stati fucilati entro il Mezzogiorno se non fosse stato consegnato l’autore del dinamitardo che aveva causato la morte di un loro commilitone. Ci volle tutta l’abilità e la diplomazia di Carlo Mafrolla a salvare il gruppo dei malcapitati e a convincere il colonnello Hoffman che l’atto inconsulto che stava per commettere era contro le regole della guerra e della giustizia umana, in quanto erano stati i suoi soldati ad attaccare per prima i cittadini e che fra l’altro un carabiniere era deceduto e adducendo, forse fra l’altro, che autore del lancio della bomba sia stato proprio il carabiniere ucciso. Le motivazioni addotte senz’altro convinsero l’ufficiale tedesco, che ordinò al battaglione di rientrare nel loro reparto.