Giuseppe Garibaldi

piazza Giuseppe Garibaldi

Giuseppe Garibaldi nacque a Nizza da una famiglia di origini genovesi il 4 luglio 1807, nell’attuale Quai Papacino, in un periodo in cui la contea di Nizza appartenente al regno di Sardegna, era sotto occupazione francese in seguito alla battaglia di Marengo che aveva costretto il Re sabaudo Carlo Emanuele IV a rifugiarsi a Cagliari. A Nizza fu battezzato il 19 luglio 1807 nella chiesa dei Santi Martino e Agostino, situata nel quartiere attuale della Vecchia Nizza, e registrato come Joseph Marie Garibaldi, cittadino francese. La sua famiglia si era trasferita a Nizza nel 1770; il padre Domenico Garibaldi (1766-1841), originario di Chiavari, era proprietario di una tartana chiamata Santa Reparata. La madre Maria Rosa Nicoletta Raimondi (22 gennaio 1776 – 20 marzo 1852) era una figlia di pescatori originaria di Loano, nel 1807 territorio francese (sino al 1805 Repubblica Ligure).  Giuseppe Garibaldi fin da giovane si affiliò alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini e partecipò nel 1834 alla spedizione che avrebbe dovuto sollevare la Savoia. Condannato in contumacia riparò nel Sud America e prese parte alla guerra di indipendenza dell’Uruguay. Tornato in Italia, nel 1848 partecipò alla Prima Guerra di Indipendenza e l’anno successivo accorse alla difesa della Repubblica Romana, ma alla resa della città ai Francesi, tentò di raggiungere Venezia in lotta contro gli austriaci. Durante questo viaggio, nella pineta di Ravenna morì la moglie Anita e, stremato dal dolore rinunciò a difendere Venezia e preferì andare in esilio. Successivamente fondò il Corpo de Cacciatori delle Alpi e con essi partecipò alla II Guerra di Indipendenza (1859).

Nel 1860, scoppiata la rivolta a Palermo, con la complicità di Cavour, partì alla volta della Sicilia con Mille uomini. Sbarcò a Marsala, sconfisse l’esercito borbonico a Calatafimi, Palermo e Milazzo, e, dopo aver attraversato trionfante la Calabria, entrò a Napoli e sbaragliò definitivamente i Borbonici nella battaglia del Volturno. Nello storico incontro a Teano consegnò l’Italia Meridionale a Vittorio Emanuele II. Nel 1862, tentò una nuova impresa quella di occupare Roma, ma fu fermato dall’esercito italiano. Prese parte anche alla III Guerra di Indipendenza (1866) e penetrò con grande successo nel Trentino, sconfiggendo gli Austriaci a Bezzecca. Nominato deputato prese parte attiva nel Parlamento italiano, schierandosi a sinistra. Indi si ritirò nell’isola di Caprera, dove morì nel 1882. Nel 1814, la casa dei Garibaldi fu demolita per ampliare il porto e la famiglia traslocò. Nizza fu restituita al Regno di Sardegna per decisione del Congresso di Vienna e restò sotto il governo dei Savoia fino al 1860. I genitori avrebbero voluto avviarlo alla carriera di avvocato, medico o sacerdote, ma Giuseppe non amava gli studi, prediligendo gli esercizi fisici e la vita di mare. Egli stesso ebbe a dire che era più amico del divertimento che dello studio. Vedendosi ostacolato dal padre nella sua vocazione marinara, durante le vacanze tentò di fuggire per mare verso Genova con tre suoi compagni: Cesare Parodi, Celestino Bernord e Raffaello de Andrè. Scoperto da un sacerdote che avvisò la famiglia della fuga, fu fermato appena giunto alle alture di Monaco e ricondotto a casa; è forse da ricondursi a questo episodio l’inizio della sua antipatia verso il clero. Garibaldi non può definirsi propriamente un politico professante una precisa ideologia; in un’epoca in cui fiorivano molti ideali politici egli non aderì apertamente a nessuno di essi. Garibaldi attaccò il clericalismo, il conservatorismo, l’assolutismo e qualsiasi ordinamento sociale che fosse basato sull’ingiustizia e la violenza. Del 1865 sono le sue parole: Ma avete mai inteso che io appartenga a qualche partito? Io ho sempre inteso di appartenere alla nazione italiana e nel 1867, in un congresso a Ginevra, chiariva: “Noi non vogliamo abbattere le monarchie per fondare repubbliche, ma vogliamo distruggere l’assolutismo per fondare sulle sue rovine la libertà e il diritto”. Egli proclamò una protesta ideale sociale che tuttavia non gli fu riconosciuta dal filosofo anarchico Pierre-Joseph Proudhon che lo accusava di aver intrapreso, assieme a Mazzini, un’unificazione italiana sotto il segno della monarchia sabauda e quindi un’opera di centralizzazione dello Stato a scapito del federalismo rispettoso delle libertà locali delle diverse popolazioni italiane.