Maometto II con l’occupazione di Costantinopoli (1453) pose fine all’Impero d’Oriente e, con la conquista della Serbia, della Grecia, delle colonie genovesi di Crimea e quelle veneziane di Negnoponte, Croia, Scutari ed altre isole dell’Adriatico, mise in apprensione la Chiesa Cattolica, i governanti italiani e la stabilità commerciale della Repubblica di S. Marco. Le sue mire, infatti, erano quelle di impadronirsi di Rodi Egeo, di occupare la Puglia e di vendicarsi più di tutto di Ferdinando I che aveva partecipato alla Lega contro il Sultano nel 1473, accolto a Napoli il suo acerrimo nemico Leonardo III Tocco, despota di Arta e Leucadia, data ospitalità ai profughi albanesi e inviato soccorsi e rinforzi ai Cavalieri Gerosolimitani che tenevano l’isola di Rodi. L’azione iniziò il 28 luglio 1480 con una poderosa flotta di 140 vele (40 galee, 60 galeotte e 40 maonì) su cui si imbarcarono, oltre ai cavalli e munizioni, dai 15 ai 20 mila Turchi. La flotta partì da Valona alla volta della penisola salentina sotto il comando di un feroce Rais, il Gran Acmet Breche Dente Pascià (o Acomatte Bassà o Keduc Achemet o Gheduk Almed), un neofita dell’Islam di origine slava che svolgeva un ruolo di primo piano nel regno di Maometto II. Costui, uomo di statura piccola, di color bruno, nasuto, con poca barba, mezzo spano, brutto di volto, di animo crudelissimo e molto avaro, povero e vile, detto anche lo Sdentato, non riuscendo a prendere con lusinghe la città di Otranto, che tenne per diversi giorni in stretto assedio, sfogò tutta la sua ferocia dal 12 al 14 agosto, distruggendo la città e facendo trucidare 800 cristiani sul colle della Minerva. Pure se tutta l’Italia e i Paesi occidentali furono enormemente impressionati, non risposero con sollecitudine e adeguatamente alle richieste di soccorso invocate da Ferdinando I e dal Papa Sisto IV. Addirittura, qualche storico sostiene che a chiamare i Turchi ad invadere il Regno di Napoli sia stata Venezia, che nell’alleanza del re Aragonese con Firenze, Milano e Ferrara aveva visto una minaccia per i suoi domini continentali e insulari. Dopo il deprecabile eccidio, i Turchi divennero più minacciosi e tentarono di estendere in breve tempo il loro dominio su tutta la Puglia. Verso la fine di agosto 60 o 70 navi con artiglieria e 6 mila uomini risalirono il mare e puntarono verso il Gargano: tattica questa usata per disorientare e ostacolare l’avanzata dell’esercito napoletano diretto dal Duca di Calabria, per impedire alle popolazioni della Puglia di portare soccorso ad Otranto e più di tutto per occupare i punti più strategici della costa adriatica, per la conquista del Regno di Napoli e per giungere a Roma. Il 29 agosto posero sotto un fuoco violento e continuo l’assedio a Vieste, che, sebbene sprovveduta e sorpresa per l’attacco così fulmineo e massiccio, oppose una ferrea resistenza. Il martellare delle bombarde durò più giorni, poi i Turchi scesero dalle navi, fracassarono le porte, abbatterono le mura e si riversarono fra le macerie dell’abitato come iene assetate di sangue. “Con uccisione di molte anime “el turco ruinò e brusiò fino a li fondamenti”: la città fu un ammasso di ceneri e il suo perimetro si ridusse notevolmente.